LABORATORIO DI SCRITTURA NEI DCA

Gli individui che soffrono di un disturbo alimentare utilizzano il sintomo per esprimere il disagio di un silenzio che si sentono costretti a rispettare, a cui hanno aderito più o meno consciamente per non raccontare esplicitamente un disagio, ma anche un profondo dolore che, però, viene percepito come non degno di essere raccontato. La malattia genera una patina, invisibile e per questo subdola, tra il cuore e la mente: le emozioni vengono bloccate e, pertanto, così come non vengono sentite pienamente, non possono essere nemmeno elaborate correttamente. Ciò impedisce sia l’ingresso di quelle che vengono considerate emozioni positive, ma anche e soprattutto non rende possibile lo smaltimento di quelle negative, che si trovano quindi intrappolate in una gabbia invisibile.
In generale, la malattia può essere considerata la rottura della relazione che l’individuo intrattiene con se stesso e con il mondo.
Secondo questo approccio, si può affermare che la patologia mentale è una patologia narrativa che si manifesta nell’incapacità di narrare in modo coerente e costruttivo le proprie esperienze e, di conseguenza, di tracciare in modo coeso la propria identità.

Dopo queste fondamentali premesse, appare più evidente come la scrittura possa rappresentare un ottimo strumento di cura in quanto espressione e manifestazione della propria individualità, riducendo la fatica mentale necessaria a tenere lontano un evento ritenuto traumatico, o comunque doloroso o stressante, dal livello di coscienza.

La scrittura va quindi intesa come uno strumento di promozione della salute da utilizzarsi in tutti quei contesti in cui si è fortemente esposti a situazioni di pericolo o che comportano una forte attivazione emotiva, in quanto:

  • Rappresenta una bussola per fare il punto sulla propria vita;
  • Quando l’evento traumatico viene tradotto in parole, tutte le emozioni ad esso connesse vanno a modificare lo schema cognitivo in cui sono inserite, contribuendo ad un’ulteriore riflessione sul ricordo e, di conseguenza, ad una sua definitiva archiviazione;
  • Consente un cambiamento di prospettiva.

In generale, la scrittura va intesa come un atto trasformativo grazie al quale la sofferenza che inevitabilmente ci si trova a dover affrontare diventa utile spinta al nostro cambiamento, per cui non la si deve inibire, ma occorre incoraggiare una sua manifestazione fino a che non rappresenta più fonte di dolore.

Le ricerche in materia hanno dimostrato, infatti, che la scrittura consente di ottenere degli effetti estremamente benefici su pazienti esposti ad eventi traumatici o, in generale, che stiano attraversando situazioni stressanti.

Nel momento in cui un evento traumatico viene trasformato in parole, i pensieri, le immagini, le emozioni ad esso connessi vengono integrati e vanno a modificare lo schema cognitivo in cui sono inseriti. Grazie alla narrazione e alla ri-narrazione, i fatti appaiono sempre più concreti e stabili, dal momento che sono le parole a realizzare un ponte tra la realtà e la mente, mediando la costruzione dei significati.                                                   

Il vero lavoro da compiere diventa quindi quello di provare a scrivere il disagio che fino a quel momento assume il corpo come testo in una nuova pagina, quella bianca di un foglio.

Poi, gradualmente, quando il dolore si traduce in parole, il sintomo perde la sua ragione di esistere, visto che non serve più ad esprimere, in modo simbolico, un disagio, un dolore, ma si esprime in modo diverso, questa volta sano, ma non per questo semplice da affrontare.

Ciò implica che i problemi che hanno portato all’insorgere del disturbo alimentare possono non essere risolti ma, attraverso una narrazione diversa, possono non provocare i dannosi effetti che, rimanendo nascosti al piano della coscienza, hanno generato nel corpo e nella psiche dei soggetti che si sono rifugiati nella malattia.


Referente:
Dr.ssa Francesca Pierotti, email 80francy@alice.it

Ultimo aggiornamento: 18/05/2020
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